{"id":128,"date":"2014-09-02T15:29:53","date_gmt":"2014-09-02T15:29:53","guid":{"rendered":"https:\/\/betemps.eu\/?p=128"},"modified":"2019-07-11T22:28:24","modified_gmt":"2019-07-11T20:28:24","slug":"alpi-in-movimento","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/betemps.eu\/alpi-in-movimento\/","title":{"rendered":"Le Alpi in movimento"},"content":{"rendered":"

verso un\u2019evoluzione equilibrata tra modernit\u00e0 e tradizione,in<\/i>\u00ab Economia trentina \u00bb, Dossier ripensare la montagna N. 2-3, dicembre 2010.<\/p>\n

AL\u00c8XIS B\u00c8TEMPS \u2013 Primo Direttore dell\u2019Ufficio regionale di Etnologia e linguistica della Regione autonoma Valle d\u2019Aosta;<\/p>\n

Presidente del Centro studi francoprovenzali di Saint-Nicolas (AO).<\/p>\n

Le montagne le ho sempre considerate una presenza squallida per la loro sterilit\u00e0, tristi per le loro ombre della sera, deleterie perch\u00e9 nascondono il sole, pericolose per le loro ribellioni inattese alle prepotenze dell\u2019uomo. In fondo per me, come per buona parte dei montanari delle Alpi occidentali, la montagna era l\u2019alpeggio, dove si fermava il domestico e cominciava il selvatico. Quella era la vera montagna e le vette avevano altri nomi, quando li avevano! Tutto ci\u00f2 che era considerato inutile non meritava un nome. Le vette erano il selvatico, rifugio di diavoli, streghe e anime dannate, sfidate occasionalmente da marginali bracconieri, disertori e contrabbandieri. Erano lo sfondo per lo spettacolo quotidiano, dentro il quale era meglio non tentare di penetrare.<\/p>\n

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Pyramides Calcaires e Dora di Veny \u2013 Foto di Gian Mario Navillod.<\/p><\/div>Quegli enormi spuntoni rocciosi che interrompevano brutalmente i pascoli non li avevo mai veramente amati e, comunque, non li avevo mai trovati belli. Cresciuto a Valgrisenche, valle materna, stretta, incassata, dalla morfologia ruvida, aggredita dai torrenti e assediata dalle valanghe, all\u2019epoca ignorata dai turisti, la mia idea di bello era sempre stata un\u2019altra. Sognavo prati umidi, verdi e pianeggianti, torrenti pigri e silenziosi, boschi puliti e ordinati, sentieri ben tracciati, curati e tanta gente, donne, uomini e bambini, con i loro animali, nei prati, nei pascoli e nei campi. Verso la met\u00e0 degli anni Sessanta del secolo scorso, a met\u00e0 luglio, ho accompagnato un compagno d\u2019universit\u00e0 a scoprire la mia valle, un \u201cmilanese\u201d. Cammin facendo, mi sono stupito di sentirlo esclamare \u201cche bello\u201d al cospetto degli orridi che costeggiavano il nostro percorso stradale, dei boschi di pini silvestri, inutili e contorti, delle cascatelle capricciose che attraversavano la strada, non ancora asfaltata, per raggiungere il torrente incassato, violento e chiassoso. \u201cVedrai pi\u00f9 su\u201d gli dissi, pensando ai prati appena falciati che stavano recuperando lentamente il verde; ai campi di cereali che cominciavano a cambiare colore tingendo la valle di chiazze di giallo, colore ormai scomparso dagli stereotipi alpini; ai pascoli montani punteggiati di rosso e di nero, colori del pellame delle nostre vacche di razza valdostana. Tornando al piano, dopo una settimana, l\u2019amico mi disse: \u201cS\u00ec, s\u00ec, tutto bello, ma io preferisco l\u2019orrido col torrente\u2026\u201d. Fu un po\u2019 la mia seconda venuta al mondo, il mio primo contatto con un\u2019idea, una visione del paesaggio, ormai gi\u00e0 largamente diffusa, ma ancora estranea ai montanari. A quelli di Valgrisenche, almeno. Non ci vorranno molti anni per cambiar loro gli occhi e introdurre, anche a Valgrisenche, nuovi canoni estetici.<\/p>\n

In realt\u00e0, dunque, quello che amo non sono le montagne.<\/p>\n

Ho amato e amo la gente della montagna, che ho sempre avuto difficolt\u00e0 a chiamare \u201cmontanari\u201d trovando il termine riduttivo. Non sono semplicemente dei montanari.<\/p>\n

Amo quelli della mia famiglia, i vicini, i valligiani. Certo, lo so, fra di loro, come dappertutto, ci sono i mascalzoni, gli infingardi, i pelandroni e i disonesti. Chiaramente, non sono costoro che amo.<\/p>\n

Amo la sintesi della gente \u201ccome si deve\u201d, come l\u2019ho percepita, come l\u2019ho interpretata, come l\u2019ho vissuta. In fondo, io amo una particolare idea di gente, di montanaro, di \u201cvaldostano\u201d. O forse, qualcuno dir\u00e0, amo semplicemente l\u2019idea stereotipa sull\u2019uomo alpino, che per\u00f2 mi domando se \u00e8 poi veramente cos\u00ec stereotipa.<\/p>\n

Ho conosciuto davvero gente tenace che ha imparato a reagire agli attacchi distruttori della natura, che ha saputo ricominciare senza mai lasciarsi prendere dallo scoramento: gente sobria, magari per necessit\u00e0, sobria nell\u2019alimentazione, nel vestirsi, con poche esigenze. Artigiani col gusto del lavoro ben fatto, finito, curato nei particolari, metodici, poco inclini all\u2019improvvisazione e alle reazioni incontrollate, persone tolleranti verso gli altri, forse perch\u00e9 avevano sperimentato l\u2019intolleranza. Gente che conosceva il mondo, visto dal basso, perch\u00e9 aveva dovuto viaggiare e piegarsi in giovent\u00f9 per sopravvivere, uomini responsabili, solidali, col senso della comunit\u00e0, rispettosi del bene altrui e del bene comune.<\/p>\n

Ho passato buona parte della mia vita a parlare con loro, a interrogarli, a registrare i loro ricordi, ad ascoltare le loro rivendicazioni, a studiare la loro cultura nel senso pi\u00f9 ampio del termine, a paragonarla alle altre, a pormi dei perch\u00e9. Io sono invecchiato e loro, in buona parte, sono scomparsi.<\/p>\n

L\u2019ho fatto per mestiere, \u00e8 vero, ma \u2013 nel mio caso \u2013 \u00e8 stato un mestiere che mi sono letteralmente inventato spinto dalla passione, un lavoro che ho potuto e saputo imporre agli amministratori, agli scettici, che \u00e8 stato a lungo sottovalutato ma che, finalmente, comincia ad essere ora generalmente apprezzato. L\u2019ho fatto per conoscere gli altri ma, probabilmente, anche per conoscere me stesso. Ho accumulato talmente tanti ricordi, miei e di altri, che ormai li confondo e, talvolta, non so pi\u00f9 a chi veramente appartengono, se sono reali o fasulli.<\/p>\n

Ora, questo mondo che ho amato, che ho sicuramente idealizzato adattandolo alla mia dimensione psichica, non c\u2019\u00e8 pi\u00f9 o, meglio, pi\u00f9 esattamente, ne rimangono solo frammenti e schegge, immersi nell\u2019oceano burrascoso delle novit\u00e0. Per fortuna, ma \u00e8 una magra consolazione, esiste almeno un\u2019abbondante letteratura prodotta in questi ultimi anni.<\/p>\n

Certo, un po\u2019 di tristezza e nostalgia rimane, in me e in tutti quelli che come me hanno amato la gente. Tuttavia, i sentimenti tristi sono temperati dalla consapevolezza che il cambiamento era necessario, che non si poteva pi\u00f9 andare avanti come sempre. Gli stessi ultimi rappresentanti della societ\u00e0 agropastorale in declino, i discendenti di coloro che per millenni hanno colonizzato le Alpi con modestia, efficacia e prudenza, riconoscono unanimemente che il ritorno all\u2019antico non \u00e8 auspicabile e che, in ogni caso, non lo vorrebbero neppure. Sono consapevoli che nel cambiamento hanno perso molte cose ma, anche, che ne hanno guadagnate altre: le comodit\u00e0 in genere, dai trasporti al riscaldamento, la libert\u00e0 del lavoro interrompibile, la variet\u00e0 alimentare a tavola, l\u2019assistenza medica, l\u2019allungamento della speranza di vita. Per cui, tutto sommato, nessuno vorrebbe veramente tornare indietro.<\/p>\n

Se non per rivivere qualche aspetto particolare della societ\u00e0 ancestrale.<\/p>\n

Le giovani generazioni hanno, ormai, una conoscenza frammentaria e vaga del passato. In genere, nessuno gliene ha mai parlato. I vecchi se ne vergognavano, gli adulti non avevano il tempo e la scuola lo ha ignorato.<\/p>\n

La civilt\u00e0 montanara \u00e8 stata funzionale, in Valle d\u2019Aosta, fin verso la met\u00e0 del XX secolo. Fino ad allora, seppur nel cambiamento, la storia antropica della Vall\u00e9e si era svolta sul filo della continuit\u00e0, anche se con frenate e accelerazioni. Da sempre, le generazioni si riconoscevano nella precedente, malgrado i conflitti inevitabili. Ora, invece, il figlio ha difficolt\u00e0 a capire e a credere ai ricordi del padre: \u201cMa come? La strada non era asfaltata? Abitavate per sei mesi nella stalla con le mucche? Mangiavate carne solo la domenica? I bambini dovevano lavorare?\u201d.<\/p>\n

La data precisa del cambiamento epocale non \u00e8 definibile, ma credo debba essere posta verso la fine degli anni 60 del Novecento. \u00c8 il momento del cos\u00ec detto boom. Il rapido miglioramento della condizione economica ha inevitabilmente messo in crisi la societ\u00e0 agropastorale tradizionale. Il posto di lavoro facile e fisso, in un primo momento, non escludeva l\u2019agricoltura di sussistenza. Lo sviluppo della rete stradale raggiunge in quel periodo anche i villaggi pi\u00f9 isolati. Il decentramento sul territorio di servizi sociali e, in particolare, delle scuole secondarie permette a tutti i giovani di accedere facilmente al diploma, aprendo loro alternative allettanti di promozione sociale. Lo sviluppo del turismo e del commercio, il pi\u00f9 delle volte, ha discriminato le popolazioni locali. L\u2019espansione conseguente della citt\u00e0 di Aosta, con il suo peso economico e i suoi modelli, si spinge alle porte dei Comuni agricoli vicini e li invade. Lo sviluppo abnorme del settore terziario e altri fattori di importanza minore hanno contribuito all\u2019abbandono della montagna e alla trasformazione delle campagne.<\/p>\n

Cos\u00ec, un patrimonio immenso di conoscenze tecniche, materiali e immateriali, di organizzazione sociale, di variet\u00e0 linguistica, di spiritualit\u00e0 popolare viene accantonato e \u00e8 sostituito rapidamente, in buona parte, da modelli standardizzati ed estranei. Per la prima volta, nella comunit\u00e0 contadina valdostana, l\u2019evoluzione graduale ha lasciato il posto alla sostituzione culturale.<\/p>\n

E tutto ci\u00f2 con l\u2019approvazione sostanziale delle persone interessate: neppure il pi\u00f9 accanito cantor temporis actis(1)<\/sup><\/a>LOcuzione latina che tradotta letteralmente, significa lodatore del tempo passato<\/span><\/span><\/span>