<\/a>Alexis B\u00e9temps – 2008<\/p><\/div>La ricerca condotta dal BREL (Bureau R\u00e9gional pour l\u2019Ethnologie et la Linguistique) in Valle d\u2019Aosta nel quadro del progetto Echi sul patrimonio immateriale alpino ci ha permesso di recensire e studiare una cinquantina di feste che ritmano o hanno ritmato il tempo dei Valdostani (e, ormai, anche dei turisti). Si \u00e8 cos\u00ec potuto constatare come alcune feste tradizionali vivacchiano o sono state abbandonate, come altre hanno conservato tutta la loro vitalit\u00e0 ed altre ancora sono state inventate recentemente. Lasciando da parte queste ultime, che sono una risposta dovuta a nuove esigenze, \u00e8 sorta spontanea la domanda \u201cperch\u00e9 alcune feste antiche sono sparite mentre altre sono in piena forma ed espansione?\u201d<\/p>\n
A una prima osservazione, \u00e8 sembrato evidente che le antiche tradizioni attualmente in buona salute hanno tutte conosciuto cambiamenti notevoli nell’organizzazione, nello svolgimento, nella partecipazione, nei loro rituali, ecc. Per provare a rispondere alla domanda posta, ci si \u00e8 chiesti se i numerosi mutamenti non dovessero essere messi in relazione con la vitalit\u00e0 delle manifestazioni. Si \u00e8 quindi pensato di scegliere una festa di cui si conosce relativamente bene la storia e di analizzarla, per quanto possibile cronologicamente, mettendo in evidenza i cambiamenti intervenuti, la loro natura e la loro sequenza. Si \u00e8 infine optato per il carnevale della Combe-Froide: una festa ancora oggi vigorosa, di cui si conoscono importanti frammenti di storia e, rispetto alle altre festivit\u00e0 considerate, con una complessit\u00e0 strutturale che meglio permette di interpretare i vari cambiamenti. In Valle d\u2019Aosta, \u00e8 il carnevale pi\u00f9 originale, quello pi\u00f9 antico, di cui non si conosce l\u2019origine, ma che s\u2019inserisce perfettamente nella logica di altri carnevali alpini. In sintesi, si tratta di una questua rituale condotta all’interno del villaggio da gruppi locali mascherati, la b\u00e8nda<\/em> in francoprovenzale, variopinti e scherzosi, preceduti da musicanti (joueur<\/em>) e da una guida (gueudda<\/em>). Ogni comune della Combe ha il suo: sempre molto simile a quello del vicino, ma mai esattamente uguale.<\/p>\nCarnevale maledetto<\/h2>\n Monsignor Auguste Duc, vescovo di Aosta e storico illustre, scrive nella sua monumentale Histoire de l\u2019Eglise d\u2019Aoste \u201cMonsignor Fran\u00e7ois de Prez, nella sua diocesi di Aosta, assistette, nel 1467, ad un disordine inaudito. Alcuni uomini si mascherarono, indossando indumenti bizzarri con dei campani appesi, tintinnabula vaccarum<\/em>, e con sulla testa corna diaboliche\u201d[1]. E\u2019 la pi\u00f9 antica attestazione conosciuta del carnevale in Valle d\u2019Aosta.<\/p>\nNei \u201cRegistres du Pays\u201d, che raccolgono i verbali delle deliberazioni degli organi di governo del Ducato di Aosta, le allusioni anche piuttosto esplicite alla presenza di gruppi di maschere scorrazzanti durante il carnevale sono relativamente frequenti.[2] La loro citazione \u00e8 comunque sempre legata a provvedimenti repressivi da parte dell\u2019autorit\u00e0 civile. Ma \u00e8 l\u2019autorit\u00e0 religiosa la pi\u00f9 ostile al carnevale: oltre che a denunciarlo, interviene con sanzioni di sua competenza. Il 3 febbraio 1784, il Co-Vicario Capitolare Charles-J\u00e9r\u00f4me Millet, nelle sue istruzioni al clero per la Quaresima, precisa, fra le numerose indicazioni, che il permesso di consumare uova e formaggi pu\u00f2 essere accordato ai fedeli all’infuori degli ultimi quattro giorni della Settimana Santa. Sono esclusi dalla deroga, a meno che non siano ammalati, coloro che si sono mascherati durante il carnevale \u2026[3]<\/p>\n
Il carnevale non ha mai avuto una vita facile in Valle d\u2019Aosta. Troppo trasgressivo, residuo del paganesimo che la chiesa non ha mai saputo riciclare, tacciato di empiet\u00e0 e d\u2019immoralit\u00e0, \u00e8 evocato nei documenti solo per essere esecrato e punito. Sotto l’Ancien R\u00e9gime, spesso su istigazione del clero, era sanzionato dall’autorit\u00e0 civile, che adduceva come pretesto i disordini che causava (schiamazzi, violenze, vandalismi). Era combattuto soprattutto durante le epidemie e le guerre, ahim\u00e8 ben frequenti, ma, in altre occasioni, anche se non ufficialmente, era invece tollerato. Con l\u2019Illuminismo, la sua fortuna presso le \u00e9lites<\/em> non muta: i conservatori, appoggiati dalla Chiesa, lo vivono sempre come una manifestazione di paganesimo e i liberali, ligi alla dea Ragione, vedono nel carnevale ignoranza e superstizione, eredit\u00e0 dell\u2019odiato Ancien R\u00e9gime. Ma il ceto popolare, scevro di ogni ideologismo, soprattutto nelle campagne, continua imperterrito col suo carnevale, fatto di costumi riciclati e di sfilate improvvisate, di canti sguaiati e di scherzi anche pesanti, di abbuffate (quando si pu\u00f2!) e di balli campestri, di aggressivit\u00e0 e di trasgressione. Le critiche dei giornali benpensanti, le prediche minacciose dei parroci, le interdizioni del regime fascista, hanno forse cancellato la tradizione carnevalesca in alcune parrocchie, ma in altre, la grande maggioranza, l\u2019hanno insaporita col gusto del frutto proibito ed hanno contribuito cos\u00ec al suo mantenimento.<\/p>\nIl rapporto con le autorit\u00e0 oggi<\/h2>\n Le autorit\u00e0 civili, quelle locali come il sindaco, sono sempre state piuttosto benevole nei confronti del carnevale. E continuano a esserlo attualmente. Sovente la questua rituale, che caratterizzava quasi tutte le manifestazioni festive popolari valdostane, inizia dalla casa del sindaco (spesso lui stesso mascherato!). Inoltre, alcuni carnevali ricevono sovvenzioni dal comune e, soprattutto, dalla Regione Autonoma Valle d\u2019Aosta, grazie ad una legge a favore dei gruppi folkloristici. Gli organizzatori sono comunque tenuti a collaborare con le forze dell\u2019ordine, anche semplicemente informandole sulle date di svolgimento, perch\u00e9 veglino sulla manifestazione e che i limiti non siano travalicati. La Chiesa resta ancora piuttosto scettica ma non denuncia pi\u00f9 i rituali come pagani bens\u00ec, pi\u00f9 realisticamente, tende a vedere nella festa un momento di spreco di energie e di risorse. In quasi tutti i comuni, da una decina d\u2019anni, il carnevale si apre con una Santa Messa, con tanto di omelia che si spinge fino ad onorare \u201cil santo carnevale\u201d a Saint-Rh\u00e9my-en-Bosses. La b\u00e8nda<\/em> di Saint-Oyen, invece, dalla fine degli anni \u201990 \u00e8 ricevuta a Ch\u00e2teau-Verdun dai canonici del Gran San Bernardo. A Valpelline si dice che il parroco, l’abb\u00e9 Henry, famoso storico e alpinista, negli anni \u201930 ricevesse le maschere accogliendole con un bottiglione di vino. Mica male, se si pensa che fra le due guerre, ad Allein, \u201cvenivano organizzate ore di preghiera in chiesa per riparare i peccati commessi a carnevale\u201d.[4]<\/p>\nDopo secoli di conflitti con i poteri costituiti, il carnevale \u00e8 finalmente riuscito a farsi accettare e il suo atteggiamento irriverente nei confronti delle autorit\u00e0, quelle religiose in particolare, si \u00e8 notevolmente attutito. Certo, per ottenere il riconoscimento ha dovuto sgrezzarsi e diventare pi\u00f9 \u201cpresentabile\u201d. Ma la pace sociale, anche se costa, \u00e8 certamente apportatrice di un clima pi\u00f9 disteso e favorevole alla festa, a quella del carnevale nel nostro caso.<\/p>\n
La Combe-Froide<\/h2>\n La Combe-Froide o Comba fr\u00e8ide<\/em> in patois<\/em>, che ha dato il nome al carnevale da noi considerato, \u00e8 l\u2019espressione geografica per indicare la valle del torrente Artanavaz, che dal colle del Gran San Bernardo scende verso Aosta, confluendo nel Buthier. Detta valle comprende i comuni di Gignod, Allein, \u00c9troubles, Saint-Oyen e Saint-Rhemy-en-Bosses. La popolazione della Combe \u00e8, giustamente, molto orgogliosa del suo carnevale e ne ha a lungo rivendicato il monopolio poich\u00e9 lo considera unico nel genere. In realt\u00e0, nel campo delle tradizioni popolari, le manifestazioni \u201cuniche\u201dsono molto rare se non inesistenti\u2026<\/p>\nDetto ci\u00f2, bisogna riconoscere che gli abitanti della Combe-Froide hanno motivo di essere orgogliosi in quanto sono stati i soli a mantenere, nel suo spirito e nella sua complessit\u00e0, la manifestazione carnevalesca antica. Anche se, per quel che \u00e8 della distribuzione territoriale, qualcosa \u00e8 cambiato.<\/p>\n
Nel 1970, una legge raggruppa i comuni in una nuova entit\u00e0 politico-amministrativa. Cos\u00ec, la Combe-Froide si ritrova inserita nella comunit\u00e0 montana del Grand-Combin con la vicina Valpelline (Valpelline, Doues, Ollomont, Oyace e Bionaz) e col comune di Roisan. In alcuni comuni della Valpelline, cos\u00ec come a Roisan e a Sorreley, dal secondo dopoguerra e forse anche da un po\u2019 prima, il modello del carnevale della Combe-Froide era stato adottato, sovrapponendosi talvolta a forme preesistenti. Un po\u2019 alla volta, le polemiche legate alla primogenitura e al conseguente diritto a fregiarsi del nome di carnevale della Combe-Froide si stemperano e rientrano. Trent\u2019anni dopo la legge, nel 2002, le landzette<\/em> [5], le maschere variopinte ormai regine del carnevale della Combe-Froide moderno, sono presenti (e accettate) in tutta la comunit\u00e0 montana. Il carnevale si \u00e8 cos\u00ec rafforzato allargandosi territorialmente e risolvendo contenziosi pi\u00f9 o meno manifesti sul diritto all\u2019utilizzazione di un marchio.<\/p>\nLe patoille<\/em><\/h2>\nIl carnevale non ricorreva in una data precisa ma in un periodo che andava dal giorno dopo l\u2019Epifania al marted\u00ec grasso. Iniziava il 7 gennaio, con le mascherate improvvisate (patoille<\/em>), e terminava con la questua rituale, l\u2019apoteosi finale della settimana grassa. Le date della questua finale dei comuni storicamente della Combe-Froide sono antiche, le altre, in genere, sono pi\u00f9 recenti e sembrano scelte per non sovrapporsi alle prime. Ultimamente, alcuni comuni hanno spostato la manifestazione e talvolta hanno aumentato le uscite sul territorio, creando inevitabili sovrapposizioni. Le landzette<\/em> e le altre maschere tradizionali sfilano solo durante la questua finale. Prima, era il tempo delle patoille<\/em>, il cui nome in francoprovenzale significa cencio e, pi\u00f9 particolarmente, strofinaccio usato per pulire il forno del pane. Per estensione, diventa il vestito mal ridotto, quindi, gli abiti lisi, usati dalla mascherata. Quando una landzetta<\/em> non segue le regole, quando per esempio si mette le mani in tasca durante la sfilata, c\u2019\u00e8 sempre qualcuno che la richiama chiedendole se \u00e8 una landzetta<\/em> o una patoille<\/em>! Patoille<\/em>, erano poi chiamate familiarmente anche le cosiddette donne poco serie o di facili costumi\u2026<\/p>\nLe prime settimane del carnevale erano dunque riservate alle mascherate spontanee e improvvisate, che di notte si avvicinavano alle finestre delle stalle, bussavano, entravano, visitavano i vicini, facendo scherzi di ogni tipo. Lo schema entra in crisi agli inizi degli anni ottanta, proprio quando il carnevale, sempre pi\u00f9 inteso come la sfilata finale, riprende vigore. Il tempo di carnevale si \u00e8 dunque notevolmente ridotto. I nuovi ritmi di vita, probabilmente, non avrebbero pi\u00f9 permesso una festa cos\u00ec prolungata e diluita nel tempo. Si \u00e8 cos\u00ec privilegiato il momento pi\u00f9 spettacolare e coinvolgente. Da una ventina d\u2019anni almeno, le pattoille<\/em> sono sparite.<\/p>\nLe uscite della b\u00e8nda <\/em>(sortie<\/em>): dal territorio e dal periodo temporale<\/h2>\nUn tempo, nella stessa parrocchia potevano esserci pi\u00f9 b\u00e8nde <\/em>a seconda degli umori e del numero di partecipanti. Da dopo l\u2019ultima guerra, ce n\u2019\u00e8 per\u00f2 sempre stata una sola per ogni parrocchia. Capitava che una b\u00e8nda<\/em>, nel pi\u00f9 puro spirito carnevalesco, sconfinasse nel comune vicino (senza farsi annunciare, beninteso!), creando scompigli memorabili, che rimpolpavano i repertori narrativi delle veglie. Ma si trattava di semplici deviazioni da una norma consolidata. I rapporti fra le b\u00e8nde<\/em>, in genere, non erano idilliaci e riflettevano la qualit\u00e0 delle relazioni fra le comunit\u00e0 vicine. Ma negli anni \u201990, le rivalit\u00e0 antiche si stemperano e le b\u00e8nde<\/em> tradizionalmente rivali di \u00c9troubles e Saint-Oyen organizzano di comune accordo il ballo del gioved\u00ec grasso.[6]<\/p>\nNel 1986, in occasione della 3\u00b0 Festa internazionale del patois, che si svolgeva nei primi giorni di settembre a \u00c9troubles, fu chiesto alla b\u00e8nda<\/em> locale di organizzare una sfilata dimostrativa a beneficio dei mille e pi\u00f9 patoisants<\/em> convenuti dalla Savoia, dal Vallese e dalle Valli Piemontesi. Il gruppo, cortesemente, ma con fermezza, rifiut\u00f2 \u201cperch\u00e9 il carnevale si fa solo a carnevale\u201d. Ma fu forse una delle ultime dimostrazioni di rigore nell’interpretare la tradizione\u2026 Negli anni \u201990, le landzette<\/em> dei vari carnevali iniziano a esibirsi fuori stagione, in occasioni speciali, per dar lustro al comune e, talvolta, alla Regione stessa. Ma gi\u00e0 a partire dalla fine degli anni 1970, sollecitati da inviti anche prestigiosi, alcuni gruppi accettano di spostarsi dalla loro sede abituale. Agli inizi degli anni \u201980, la b\u00e8nda<\/em> di Saint-Rhemy-en-Bosses partecipa al carnevale di Nizza, poi, negli anni 90, le uscite si fanno pi\u00f9 frequenti e le landzette<\/em> arrivano addirittura al carnevale di Venezia! Alcune b\u00e8nde<\/em>, inoltre, si gemellano con gruppi carnevaleschi del Piemonte e si scambiano delegazioni che partecipano alle rispettive feste. Ma negli stessi anni \u201890, l\u2019uscita non \u00e8 sempre percepita come una scelta naturale. In quegli anni, una b\u00e8nda <\/em>s\u2019interroga sull’opportunit\u00e0 delle trasferte e, con un buon senso rimarchevole, conclude che la b\u00e8nda<\/em>, quando esce, diventa un gruppo folcloristico e, come tale, si presenta senza maschera facciale! Il carnevale \u00e8 tutta un\u2019altra storia![7]<\/p>\nLa formazione del corteo<\/h2>\n Solitamente, ci si dava appuntamento all’ora stabilita in un locale spazioso, un fienile per esempio, o in un\u2019osteria quando c\u2019era. Ognuno arrivava col suo costume sotto il braccio, poi, per evitare che la gente riconoscesse la persona tramite l\u2019abbigliamento, ci si scambiava il costume. Si compravano anche scarpe nuove, tutte uguali, non riconoscibili, e si sopportava stoicamente l\u2019inevitabile dolore ai piedi. Poteva anche accadere che, dopo la prima giornata, si vendesse il costume per comprarne subito un altro, perch\u00e9 il proprietario era stato identificato! L\u2019anonimato era indispensabile per salvaguardare l\u2019identit\u00e0 degli autori di scherzi un po\u2019 troppo arditi e anche per accrescere l\u2019interesse degli spettatori dediti al gioco dell\u2019indovina chi. Quando tutti erano pronti, il corteo s\u2019incamminava dietro alla guida, al ritmo dei suonatori e iniziava l\u2019itinerario di visita. L\u2019ordine era prestabilito e fissato dalla tradizione. Le landzette<\/em> procedevano a coppie (la cobbla<\/em>), secondo un ordine di colori, precedute dagli arlecchini e dalle damine, dalla guida e dai suonatori che aprivano il corteo.[8]<\/p>\nAttualmente, lo scambio dei costumi non avviene quasi pi\u00f9 in quanto l\u2019anonimato ha perso molto della sua importanza. Mentre prima si faceva di tutto per non farsi riconoscere, si \u00e8 diffusa, in alcune b\u00e8nde<\/em>, una sorta di narcisismo e la voglia di farsi vedere \u00e8 sempre pi\u00f9 percepibile. Gi\u00e0 ministro di un rito arcano, di cui si \u00e8 dimenticato il significato, la maschera \u00e8 diventata attore che dopo l\u2019esibizione si mostra al pubblico sotto le sue vere spoglie per riceverne l\u2019applauso.<\/p>\nAnche il corteo \u00e8, in genere, molto sfilacciato. Alcune b\u00e8nde<\/em> se ne sono rese conto e si sono organizzate perch\u00e9 il gruppo mantenesse l\u2019ordine antico e la maschera sul viso, almeno nei momenti cruciali della questua: l\u2019arrivo nelle case e la partenza. L\u2019itinerario muta col mutare delle abitudini abitative. Nell’antico villaggio dove le case erano addossate le une contro le altre, si sono aggiunte le nuove dimore, ai bordi del vecchio abitato, distaccate e, talvolta, isolate. Per questo, le distanze da coprire sono sicuramente aumentate. In compenso il numero delle \u201ctappe\u201d \u00e8 diminuito, per l\u2019emigrazione della popolazione o per la tendenza delle famiglie a raggrupparsi fra vicini per accogliere insieme le maschere.<\/p>\nL\u2019accoglienza<\/h2>\n Fin verso gli anni sessanta, la maggior parte della gente passava l\u2019inverno nelle stalle. E a carnevale \u00e8 l\u00ec che riceveva le maschere. Chi poteva permetterselo per\u00f2, in segno di apprezzamento, le riceveva nel p\u00e9illo<\/em>, la stanza riscaldata, un po\u2019 come il soggiorno dei nostri giorni. Bisogna dire che, un tempo, le b\u00e8nde <\/em>si componevano di 20-25 elementi, mentre oggi sono grandi il doppio quando non il triplo!<\/p>\nPrima di entrare nella casa, le landzette <\/em>eseguivano danzando un girotondo, tenendosi per la coda, con le altre maschere al centro. Era la loro maniera per chiedere il permesso di entrare. Poi, le maschere entravano, scherzavano un po\u2019 con i membri della famiglia, ballavano con la padrona di casa e, di solito, si facevano riconoscere, onorando il cibo offerto e il vino che non mancava mai. Alla fine, dopo il secondo squillo della trombetta (o del corno) dato dalla guida, la mascherata riprendeva il cammino e, come saluto e ringraziamento, si ripeteva il rituale del girotondo.<\/p>\nAttualmente, \u00e8 pi\u00f9 difficile essere ricevuti nelle abitazioni. Non tutte le padrone di casa sono molto contente: la stagione \u00e8 quella che \u00e8 e le maschere, sempre pi\u00f9 numerose, sporcano e fanno disordine. E\u2019 meglio dunque preparare l\u2019accoglienza nel garage sottostante, o all\u2019ingresso, o, se il tempo \u00e8 bello, anche sulla via, davanti alla porta, dove su di un tavolo di fortuna sono presentati cibo e bevande. Chi non dovesse disporre degli spazi necessari, di solito si mette d\u2019accordo con i vicini e preparano assieme. Fin verso gli anni \u201960, l\u2019offerta alimentare consisteva essenzialmente in vino, uova fresche e, talvolta, burro fuso. Da consumare sul posto, venivano offerti il brodo bollente con un goccio di vino oppure la patchocada<\/em>, uova sbattute con vino e zucchero: micidiale\u2026 Poi, si \u00e8 cominciato ad offrire frittelle fatte in casa, le merveille<\/em>, chiamate anche rezoulle <\/em>o bugie, in italiano regionale, dolci di pasta fritta; poi pane, patate, formaggio e salumi. Ora, \u00e8 quasi un assalto ai supermercati per offrire di tutto e di pi\u00f9, dalla gastronomia internazionale agli alimenti tradizionali.<\/p>\nLa mascherata in cammino<\/h2>\n Tutti i personaggi in maschera si muovevano liberamente dietro o davanti al corteo delle landzette<\/em>, che sono maschere molto particolari e tutt’altro che libere poich\u00e9 i loro gesti seguivano canoni ben precisi. Esse marciavano a suon di musica con un passo lieve, flessuoso e ondeggiante, che abbandonavano solamente per correre all’inseguimento di un malcapitato spettatore. Gli inseguimenti talvolta erano sollecitati dalle landzette<\/em> stesse sfregando la queuvva[9]<\/strong><\/em> fra le gambe della vittima prescelta e talaltra dagli spettatori che stuzzicavano le maschere. Bastava poco per aizzarle: in genere si otteneva il risultato toccandole o cercando di toglier loro la maschera facciale, rubando la bandiera o la trombetta alla guida, mostrando loro una croce o facendo suonare le campane al passaggio della mascherata. In genere, la corsa, spesso nella neve, sul ghiaccio o nel fango, si concludeva con la cattura dello spettatore che veniva strattonato, gettato a terra e disturbato con la queuvva<\/em>. Ancora adesso, i vecchi del carnevale parlano di scherzi memorabili, giudicati oggigiorno grossolani. Si racconta di spettatori finiti nel letamaio, di altri immersi nella fontana ghiacciata, di persone legate alla balaustra o ad un albero, di ragazze parzialmente spogliate e spalmate di lucido per scarpe nero o di pomata per le mucche, di incidenti gravi come le fratture degli arti, di vesti stracciate e danni vari alle cose, agli animali e alle persone. Per fare tutto ci\u00f2, le maschere parlavano poco e sempre in falsetto per non farsi riconoscere dalla voce e di tanto in tanto lanciavano l\u2019\u00e9tsello<\/em>, un urlo gutturale, molto particolare, parente dello jodle<\/em> germanico. La cura e il rispetto di questo particolare del rituale, a partire dagli anni \u201960, si sono progressivamente affievoliti e molti gruppi, oramai si spostano, quando va bene, saltellando al ritmo della musica, altrimenti trotterellano senza seguire regola alcuna. Alcune b\u00e8nde<\/em> si sforzano di rispettare per quanto possibile le antiche regole ma non sempre con successo. La realt\u00e0 \u00e8 che non ci sono pi\u00f9 serie ragioni per mantenere l\u2019anonimato poich\u00e9, come vedremo, il carnevale si \u00e8 ingentilito. Quanto agli scherzi, si raccomanda oramai alle maschere di non esagerare, soprattutto con chi non capirebbe\u2026 Il ch\u00e9 \u00e8 un po\u2019 in contraddizione con lo spirito del carnevale! Ma certamente, il comportamento pi\u00f9 moderato \u00e8 meglio accetto ad un pubblico estraneo alla comunit\u00e0, divenuto talvolta il principale beneficiario della rappresentazione.<\/p>\nIl pubblico<\/h2>\n Festa interna alla comunit\u00e0, che s\u2019identificava con la parrocchia o col comune, istituzioni che in Valle d\u2019Aosta combaciano salvo pochissime eccezioni, il carnevale non aveva praticamente pubblico, inteso come spettatore passivo, poich\u00e9 tutti i presenti avevano un ruolo attivo nella manifestazione: chi organizzava, chi si mascherava, chi stava in strada a stuzzicare le maschere di passaggio, chi riceveva in casa la b\u00e8nda<\/em>. Solo le famiglie in lutto o con ammalati gravi si chiudevano nel loro riserbo, rigorosamente rispettato dal gruppo mascherato. Tutti gli altri, chi pi\u00f9 chi meno, partecipavano ai festeggiamenti. Tutti sapevano cosa fare e come comportarsi. Perch\u00e9 il carnevale si faceva e non si diceva\u2026<\/p>\nOggi, il carnevale non \u00e8 quasi pi\u00f9 percepito come una festa interna alla comunit\u00e0, un rituale antico per rinsaldare i legami comunitari, allentati dall’inverno, in vista della ripresa primaverile dei lavori. Il carnevale, in sintonia con i tempi, \u00e8 dunque diventato uno spettacolo e come tutti gli spettacoli ha bisogno di spettatori, per cui, bisogna andarli a cercare anche fuori, lontano dal villaggio. Ormai, manifesti col programma, comunicati stampa, interviste a giornali, radio e televisioni e ogni altra idea che pu\u00f2 servire ad attirare gente alla manifestazione, precedono lo svolgimento del carnevale, la cui riuscita \u00e8 spesso valutata anche sulla consistenza della partecipazione esterna. Dopo il rilancio clamoroso degli anni 1980\/90, la gente estranea che va a vedere il carnevale \u00e8 considerevolmente diminuita negli ultimi quindici anni. E anche la gente del posto, fra emigrazione e denatalit\u00e0, non \u00e8 pi\u00f9 cos\u00ec presente nelle viuzze del villaggio. Inoltre, le manifestazioni carnevalesche si sono moltiplicate un po\u2019 ovunque. Cos\u00ec, la gente riscopre la funzione sociale interna del carnevale: \u201danche se c\u2019\u00e8 poca gente a vederci , \u00e8 un\u2019occasione per noi di ritrovarci e far festa insieme\u201d[10].<\/p>\n
I bambini e il carnevale<\/h1>\nIl carnevale non era roba per i bambini.<\/h2>\n Ancora alla fine degli anni \u201850, i bimbi lo guardavano da lontano, timorosi: si nascondevano dietro le porte, sui tetti e se scoperti, scappavano al galoppo. Avevano paura certo, ma generalmente il timore era sempre accompagnato da un sentimento di attrazione. Le maschere avevano dei comportamenti grossolani e non risparmiavano neanche i bambini. Con la crisi del mondo contadino, il ruolo dei diversi agenti del carnevale \u00e8 per\u00f2 cambiato: da un lato, la festa si \u00e8 ingentilita e dall’altro, il bambino \u00e8 percepito in modo diverso, sia dalle famiglie sia dalla comunit\u00e0. Cos\u00ec, i bambini sono entrati nel grande gioco del carnevale. La loro avanzata \u00e8 stata progressiva e rapida: prima, negli anni \u201970, hanno cominciato a fare le pattoille<\/em>, poi si sono travestiti da diavolo, personaggio molto svalutato nell’economia del carnevale della Combe-Froide, poi da arlecchini, maschere gentili, ed infine, verso la fine degli anni 70, da landzette<\/em>, le maschere pi\u00f9 apprezzate che quasi tutti vorrebbero interpretare. Da pi\u00f9 di dieci anni oramai, la b\u00e8nda<\/em> di \u00c9troubles parte per la questua dalla scuola materna comunale dove \u00e8 stata accolta dai bambini. E nessuno si nasconde pi\u00f9 per la paura.<\/p>\nIl ruolo delle donne<\/h2>\n Il carnevale \u00e8 sempre stato una festa riservata agli uomini. Nel senso che le donne non si mascheravano o che, comunque, non avrebbero dovuto perch\u00e9, in realt\u00e0, di tanto in tanto qualcuna lo faceva. Cos\u00ec si raccontava\u2026 Le stesse maschere femminili erano interpretate da uomini. Ma le donne c\u2019erano e ci sono sempre state. Il loro ruolo, con la sensibilit\u00e0 moderna, pu\u00f2 anche sembrare marginale, ma ci\u00f2 nonostante, nella societ\u00e0 contadina era ritenuto importante. Per il carnevale, le donne ripetevano essenzialmente quello che facevano nella vita quotidiana: cucivano i vestiti, preparavano il cibo e accoglievano la mascherata. E nella complicit\u00e0 diffusa dello scherzo carnevalesco, mescolate al pubblico, le donne erano il bersaglio preferito degli scherzi, spesso a sfondo sessuale. E non \u00e8 che si limitassero a subire\u2026 Anche per loro era carnevale\u2026<\/p>\n
A partire dagli anni \u201860, le donne cominciano ad assumere ruoli attivi fra le pattoille<\/em> e, soprattutto, negli anni \u201970, nella b\u00e8nda<\/em> dove interpretano dapprima il ruolo della damina, poi fanno l\u2019arlecchino, maschera gentile.[11] Non disdegnano in seguito altri ruoli come il diavolo o la tocca<\/em>, ma, a mia conoscenza, non si cimentano mai con la maschera dell\u2019orso. Ma \u00e8 probabile che sia solo una questione di tempo\u2026 Poi, la donna comincia a fare la landzetta<\/em>: oggi, obiettivo massimo per ogni partecipante al carnevale\u2026 Dopo, negli anni \u201990, i cambiamenti corrono veloci e, attualmente, le donne sono la maggioranza in quasi tutte le b\u00e8nde<\/em>. E molte sono anche a capo del gruppo. Non si tratta dunque di \u201cquote rosa\u201d generosamente concesse, ma della naturale occupazione di uno spazio che, inaspettatamente, si \u00e8 aperto. Probabilmente, se non si fosse aperto alle donne, il carnevale non ci sarebbe pi\u00f9\u2026<\/p>\nI miti fondatori: lo charivari e la campagna d\u2019Italia di Napoleone<\/h2>\n Fin dall’inchiesta orale del 1979-80, la gente dava due risposte diverse alla domanda \u201cCom’\u00e8 nato il vostro carnevale?\u201d La prima lo ravvisava in quanto accaduto a due persone un po\u2019 strambe, non pi\u00f9 giovani, che decidono di sposarsi. La gente, per deriderle e sanzionarle, organizza una sfilata grottesca, al suono di strumenti improvvisati, vestendosi in modo stravagante: lo charivari<\/em>. La spiegazione non rappresenta, forse, l\u2019origine del carnevale, ma ne d\u00e0 un\u2019interpretazione pertinente, coerente con l\u2019opinione di alcuni etnologi.[12] Sebbene un po\u2019 in declino, i due sposi, il toc<\/em> e la tocca<\/em> ci sono quasi sempre. Sono loro che chiudono la sfilata, spesso con atteggiamenti osceni, confondendosi con gli spettatori, litigando anche violentemente.<\/p>\nLa seconda spiegazione, che sembra essere diventata attualmente prevalente, \u00e8 quella secondo cui, la popolazione della Combe, angariata dal passaggio delle truppe di Napoleone nel 1800, abbia voluto rappresentare durante il carnevale, in modo critico e grottesco, l\u2019avvenimento. A supporto di tale tesi, si dice che i costumi del carnevale ricalchino le uniformi dei soldati di Napoleone. Vero o non vero, comunque sia, \u00e8 errato, come molti fanno, considerare il passaggio di Napoleone come l\u2019inizio del carnevale della Combe-Froide che, anche solo a giudicare dai rituali sopravvissuti, \u00e8 sicuramente molto pi\u00f9 antico.<\/p>\n
La seconda interpretazione, a mio giudizio la pi\u00f9 improbabile, \u00e8 diventata la pi\u00f9 accettata al punto che la prima, quella dello charivari, non \u00e8 quasi pi\u00f9 evocata. Questa tendenza \u00e8 molto significativa e va nel senso della spettacolarizzazione della manifestazione. Avere un carnevale ispirato da Napoleone \u00e8 certamente pi\u00f9 nobile che un carnevale che rappresenta la sfilata grottesca, organizzata dai giovani per due sposi vecchi e rimbambiti.<\/p>\n
Il costume della landzetta<\/em><\/h2>\nAttualmente, protagoniste indiscusse della sfilata sono le landzette, <\/em>vocabolo che indica il costume propriamente detto e, <\/em>per estensione, la persona mascherata che lo indossa. Consiste in una sorta di redingote e di pantaloni riccamente addobbati di \u201cpaillettes\u201d e lustrini, cuciti con cura in forme floreali, e specchietti rotondi. Ha subito negli anni numerose trasformazioni. In testa portano un casque<\/em>, cappello, guarnito di fiori di carta colorata e specchietti, disposto sul capo nel senso della sua lunghezza. Le landzette <\/em>di Allein e di Doues sono invece esclusivamente di color rosso e portano il casque <\/em>di traverso, come Napoleone. Lo stesso tipo di casco \u00e8 presente in altri carnevali alpini, in altre feste tradizionali e gli elementi che lo arricchiscono sono gli stessi. Tutte le persone anziane che hanno conosciuto il carnevale prima della seconda guerra mondiale, concordano nel dire che, una volta, i costumi erano molto meno decorati. Le foto antiche, datate del primo dopoguerra, molto rare, sono inequivocabili ed \u00e8 con una certa difficolt\u00e0 che vi si possono ravvisare i tratti distintivi ancora esistenti nel costume attuale. Un tempo, si utilizzavano vestiti vecchi che si imprestavano o scambiavano senza problemi, ora si indossano landzette <\/em>costosissime, conservate preziosamente, che si prestano e si scambiano malvolentieri. Tutti i principali elementi dell\u2019iconografia antica si ritrovano ancora, ma la quantit\u00e0 degli orpelli che impreziosiscono il costume \u00e8 notevolmente aumentata. Tale sfarzo evidenzia s\u00ec il carattere solare del travestimento, fatto di colori vivaci e di addobbi risplendenti, ma anche una maggiore disponibilit\u00e0 finanziaria della popolazione.<\/p>\nLa guida o portabandj\u00e8ira<\/em><\/h2>\nLa guida (gueudda<\/em>) e i musicanti (joueur<\/em>) non sono mai stati considerati veramente delle maschere perch\u00e9 la loro identit\u00e0 era palese e la loro funzione nel carnevale era di servizio. La guida era un po\u2019 il comandante della mascherata per tutta la durata della questua. Seguita dai joueur<\/em>, precedeva la b\u00e8nda<\/em> che guidava lungo il percorso. Dopo ogni sosta, richiamava i componenti, stimolava i renitenti, vegliava che le singole maschere avessero un comportamento conforme alla tradizione, il viso coperto in particolare. La sua autorit\u00e0 era riconosciuta e il suo ruolo rispettato. Un tempo teneva in mano un paniere per raccogliere le uova offerte e un vecchio corno o una trombetta per chiamare a raccolta le maschere quando necessario. Sempre riconoscibile, senza una vera maschera facciale (vezadz\u00e9ye<\/em>) o con una mascherina o con un naso finto, portava, generalmente, in segno di festa, dei pantaloni come le landzette<\/em> e una giacca infiocchettata. Il suo abbigliamento non \u00e8 praticamente cambiato, ma, da quarant\u2019anni almeno, non ha pi\u00f9 il paniere diventato inutile e al suo posto sventola la bandiera del carnevale, che ogni gruppo si \u00e8 scelta. Ma, in molte b\u00e8nde<\/em>, la sua autorit\u00e0 pare in declino e in certi momenti la sfilata sembra un po\u2019 allo sbando. Anche per colpa sua.<\/p>\nI musicanti<\/h2>\n I suonatori (joueur)<\/em>, due o tre, vestiti normalmente o al massimo con un cappellaccio, magari dei baffi finti o qualche altro segno di festa, aprono il corteo suonando marcette e monferrine, quindi valzer e polke quando, nelle piazze di villaggio, nelle case o nei garage, invitano la padrona di casa e, poi, le donne presenti, a una danza. Non hanno nel loro repertorio musiche originali o esclusive del carnevale ma semplicemente motivi popolari che animano abitualmente feste e sagre.Gli strumenti musicali utilizzati sono essenzialmente due: la fisarmonica e il clarinetto o il sax. A questi, pu\u00f2 aggiungersi lo fl\u00e9y\u00e9<\/em>, il correggiato, che si ispira all\u2019omonimo attrezzo agricolo usato per battere i cereali e consiste in un bastone con le estremit\u00e0 piatte con gorgoill\u00f3n<\/em>, campanelli, e nastri. Una volta, sembra ci fossero violini e mandolini. Il repertorio si rinnova lentamente nei pezzi senza rinunciare per\u00f2 ai generi musicali tradizionali. Anche il rock, nelle sue forme pi\u00f9 arcaiche ha fatto la sua timida apparizione. Nell\u2019insieme, i joueur<\/em> sono quelli che meno hanno cambiato nel corso degli anni.<\/p>\nLa vezadz\u00e9ye<\/em> o maschera facciale<\/h2>\nLo strumento per eccellenza per camuffare l\u2019identit\u00e0 dell\u2019attore del carnevale \u00e8 la maschera facciale, la \u201cvezadj\u00e9ye<\/em>\u201d, come \u00e8 chiamata in francoprovenzale in buona parte della Valle d\u2019Aosta. La sua funzione, oltre a quella di assicurare l\u2019anonimato, \u00e8 quella di caratterizzare il tipo di maschera che la porta, annunciandone il carattere o l\u2019intenzione evocativa. L\u2019espressione della vezadj\u00e9ye<\/em> segnala al pubblico se la maschera \u00e8 gentile oppure diabolica.<\/p>\nIn Valle d\u2019Aosta, le prime maschere facciali di cui abbiamo conoscenza sono di legno. La pi\u00f9 antica, risalente alla fine del XVIII\u00b0 secolo, \u00e8 perfino colorata. Con l\u2019abbandono delle maschere di legno, le b\u00e8nde<\/em> hanno generalmente adottato maschere di cartapesta acquistate nei negozi di Aosta. Negli anni \u201970 si potevano vedere anche maschere di gomma, ma sono state rapidamente abbandonate in quanto la loro impermeabilit\u00e0 non permetteva alla pelle di \u201crespirare\u201d e condannava la mascherata a fastidiose sudorazioni. Alla fine degli anni \u201990, alcune b\u00e8nde<\/em> hanno adottato la mascherina alla \u201cZorro\u201d che ricopriva solamente gli occhi e una parte del volto. Questa soluzione aveva sicuramente il pregio di evitare sudate indesiderate, ma non assicurava l\u2019anonimato e annullava il carattere grottesco, proprio delle mascherate carnevalesche. Alcuni gruppi, a partire dagli inizi degli anni \u201990 sono tornati alle maschere di legno, magari d\u2019autore, scolpite da artigiani famosi. Ogni membro della b\u00e8nda<\/em> sceglie la sua maschera, senza indicazioni particolari. Le landzette<\/em> portano maschere grottesche con l\u2019eccezione di quelle vestite di nero che devono scegliere una maschera facciale nera. Gli arlecchini e le demouazelle<\/em> portano maschere facciali pi\u00f9 neutre, talvolta bianche. Il toc<\/em> e la tocca<\/em> scelgono una maschera raffigurante persone anziane.<\/p>\nDi legno o di cartapesta, gentile o spaventosa che fosse, la maschera facciale non poteva assolutamente essere portata dopo la fine del carnevale. I trasgressori rischiavano di ritrovarsela incollata al viso e di non poterla pi\u00f9 togliere\u2026<\/p>\n
Bibliografia<\/strong><\/p>\nAlbanese Paola, Il carnevale tradizionale in Valle d\u2019Aosta: il caso della Comba-Fr\u00e8ide.<\/em> Tesi di laurea, Torino, 1993-1994.<\/p>\nB\u00e9temps Alexis, Il carnevale della Comba Fr\u00e8ide<\/em>, in Maschere e Corpi, percorsi e ricerche sul Carnevale, Ed. dell\u2019Orso, Alessandria, 1999.<\/p>\nB\u00e9temps Alexis, Le Carnaval de la Combe-Froide, entre mascarade et qu\u00eate rituelle<\/em>, in Voyage autour du Carnaval, Atti del Colloquio di Aosta del febbraio 2002, Priuli Verlucca, Ivrea (Torino), 2003.<\/p>\nB\u00e9temps Alexis, L\u2019orso in Valle d\u2019Aosta<\/em>, Museo della Montagna, Torino, 2003.<\/p>\nB\u00e9temps Alexis, La maschera nel carnevale tradizionale valdostano<\/em>, in Il futuro dei carnevali alpini tra ricerca e riproposta, Atti del Convegno, Tarcento-13 giugno 2004, Tarcento, 2006.<\/p>\nB\u00e9temps Alexis, Petite histoire du Carnaval en Vall\u00e9e d’Aoste<\/em>, in Bulletin du Centre d\u2019Etudes francoproven\u00e7ales \u00ab Ren\u00e9 Willien \u00bb de Saint-Nicolas, N. 65, Aosta, 2012.<\/p>\nBravo Gian Luigi, Valle d\u2019Aosta. I feux de joie, la bataille des reines e il carnevale<\/em>, in La festa<\/em>, Milano, 1988.<\/p>\nBrel, La parola alle maschere<\/em>, Priuli e Verlucca, Scarmagno (Torino), 2003.<\/p>\nBrel, Carnevali della montagna<\/em>, Priuli e Verlucca, Scarmagno (Torino), 2003.<\/p>\nFragno Tiziana, L\u2019abbigliamento tradizionale nella valle del Lys nel XVIII\u00b0 secolo<\/em>, Udine, Facolt\u00e0 di lettere e filosofia, 1994\/95; 2 vol.<\/p>\nGallo Pecca Luciano, Le maschere, il Carnevale e le feste per l\u2019avvento della primavera<\/em>, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1987.<\/p>\nGhignone Jean-Pierre, Les carnavals de la Combe-Froide<\/em>, in Bulletin du Centre d\u2019Etudes francoproven\u00e7ales de Saint-Nicolas N. 11, 1985<\/p>\nGrimaldi Pier Carlo, Tempi grassi, tempi magri<\/em>, Omega Edizioni, 2000.<\/p>\nRevelard Maurice (diretto da), Les Carnavals de la Combe Froide<\/em>, in Patrimoine du Mus\u00e9e international du Carnaval et du Masque, Binche (Belgio), <\/em>1989.<\/p>\nVesan Romain, L\u2019archipr\u00eatre de Gignod Fran\u00e7ois Joseph Frutaz<\/em> 1758-1825, Imprimerie Catholique, Aosta, 1937.<\/p>\nWillien Ren\u00e9, Breve storia del Carnevale di Aosta<\/em>, 1872-1964, ITLA, Aosta, 1963.<\/p>\n[1] Joseph-Auguste Duc, Histoire de l\u2019Eglise d\u2019Aoste vol. 5, Imprimerie Moderne H. Leibzig, Ch\u00e2tel-St-Denis, 1910, p. 21.<\/p>\n
[2] B\u00e9temps Alexis, Petite histoire du Carnaval en Vall\u00e9e d’Aoste, in Bulletin du Centre d\u2019Etudes francoproven\u00e7ales \u00ab Ren\u00e9 Willien \u00bb de Saint-Nicolas, N. 65, Aosta, 2012, p 50-51.<\/p>\n
[3] B\u00e9temps Alexis, Il carnevale della Comba Fr\u00e8ide<\/em>, in Maschere e Corpi, percorsi e ricerche sul Carnevale, Ed. dell\u2019Orso, Alessandria, 1999 , p. 381.<\/p>\n[4] Brel, La parola alle maschere, Priuli e Verlucca Editori, Scarmagno (Torino), 2003, p. 73.<\/p>\n
[5] Autori vari, La parola alle maschere<\/em>, Carnavals de la Vall\u00e9e d\u2019Aoste, Priuli e Verlucca, Scarmagno (Torino), 2003.<\/p>\n[6] Brel, La parola alle maschere<\/em>, Priuli e Verlucca, Scarmagno (Torino), 2003, p. 51.<\/p>\n[7] B\u00e9temps Alexis, Traditions populaires<\/em>, in Saint-Christophe, Imprimerie Duc, Saint-Christophe, 2010, p. 304.<\/p>\n[8] Nel 1985, a Saint-Rhemy-en-Bosses, l\u2019ordine della sfilata \u00e8 ancora rigoroso:<\/p>\n
Napoleone a cavallo, maschera recente e non sempre presente all’epoca, la guida, i musicanti, il diavolo, gli arlecchini e le damine, poi, le coppie di landzette<\/em> secondo l\u2019ordine seguente di colori: nero, bianco, rosso, verde, marrone, blu, rosa pesca, viola (a partire dal marrone la successione dei colori non \u00e8 pi\u00f9 rigorosamente regolamentata). Chiudono la sfilata il toc<\/em> e la tocca<\/em>, l\u2019orso e il domatore, il medico con gli infermieri, il parroco. (Ghignone Jean-Pierre, Les carnavals de la Combe-Froide<\/em>, in Bulletin du Centre d\u2019Etudes francoproven\u00e7ales de Saint-Nicolas N. 11, 1985, p. 12).<\/p>\n[9] Letteralmente: coda. Di cavallo, di mulo o d\u2019asino, legata ad un bastone, \u00e8 utilizzata esclusivamente dalle landzette <\/em>per stuzzicare le persone con sfregamenti sulle varie parti del corpo, nessuna esclusa.<\/p>\n[10] Testimonianza di una landzetta<\/em> di Etroubles raccolta durante il carnevale 2013<\/p>\n[11] Ghignone Jean-Pierre, Les carnavals de la Combe-Froide<\/em>, in Bulletin du Centre d\u2019Etudes francoproven\u00e7ales de Saint-Nicolas N. 11, 1985, p. 10.<\/p>\n[12] Lajoux Jean-Dominique, Mascarades d\u2019hiver, nouvelle ann\u00e9e et calendrier<\/em>, in Brel, Carnevali della montagna, Priuli e Verlucca, Scarmagno (Torino), 2003.<\/p>\n <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
La forza del cambiamento La ricerca condotta dal BREL (Bureau R\u00e9gional pour l\u2019Ethnologie et la Linguistique) in Valle d\u2019Aosta nel quadro del progetto Echi sul patrimonio immateriale alpino ci ha permesso di recensire e studiare una cinquantina di feste che ritmano o hanno ritmato il tempo dei Valdostani (e, ormai, anche dei turisti). Si \u00e8 […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":0,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"_et_pb_use_builder":"","_et_pb_old_content":"","_et_gb_content_width":""},"categories":[4],"tags":[],"yoast_head":"\n
Il Carnevale della Combe-Froide - Alexis B\u00e9temps<\/title>\n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n\t \n\t \n\t \n