{"id":371,"date":"2015-02-08T16:58:53","date_gmt":"2015-02-08T16:58:53","guid":{"rendered":"https:\/\/betemps.eu\/?p=371"},"modified":"2019-07-11T22:16:36","modified_gmt":"2019-07-11T20:16:36","slug":"il-nazionalismo-italiano-e-linvenzione-del-cervino","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/betemps.eu\/it\/il-nazionalismo-italiano-e-linvenzione-del-cervino\/","title":{"rendered":"Il nazionalismo italiano e l’invenzione del Cervino"},"content":{"rendered":"

Alexis B\u00e9temps<\/p>\n

Le Mont-Cervin, cette montagne si fi\u00e8re et si belle
\nque nous pouvions voir tous les jours, le Mont-Cervin,
\ndevant lequel les \u00e9trangers s\u2019arr\u00eatent frapp\u00e9s d\u2019admiration,
\nle Mont-Cervin ne nous frappait pas<\/em>.<\/em><\/sup><\/h4>\n
Am\u00e9 Gorret<\/sup><\/h5>\n

La percezione della montagna <\/strong><\/p>\n

\"[cml_media_alt<\/a>Rude e inospitale, l’alta montagna non ha mai interessato veramente i montanari: contadini e allevatori si spingevano solo fin dove arrivava il bestiame. Soltanto i contrabbandieri, i cercatori di cristalli, i cacciatori di camosci e di marmotte osavano sfidare le rocce e i ghiacciai perenni. Ed \u00e8 proprio tra questi che furono reclutate le prime guide: Jean-Antoine Carrel e Am\u00e9 Gorret per il Cervino, Pierre Gaspard per la Meije, e tante altre ancora meno note.<\/p>\n

Nel XVIII secolo, la cosiddetta scoperta<\/em> dell’alta montagna interessa dapprima solo il mondo scientifico: botanici, glaciologi, fisici, naturalisti, biologi, geologi, i quali, armati di apparecchi e guidati dai montanari, si avventurano laddove s’interrompono i sentieri, per riempire i loro taccuini d’osservazioni preziose, raccogliere campioni, dar luogo a collezioni. Dopo un primo impatto non sempre favorevole, i loro occhi cittadini li portano ad apprezzare questi paesaggi aspri e selvaggi, poco valorizzati dall’abitante pi\u00f9 sensibile al verde dei pascoli ed al giallo dei campi di grano. Ben inteso, non vi era nulla da scoprire, i montanari l’avevano gi\u00e0 fatto \u2026<\/p>\n

Ancora oggi, capita che si parli della scoperta dell’alta montagna come per la scoperta dell’America; \u00e8 una visione etnocentrica, riflesso del cosiddetto divario culturale: Europei\/Aborigeni d’America e Cittadini\/Montanari.<\/p>\n

Si forma cos\u00ec, si perfeziona e si afferma una nuova visione estetica: l’insignificante diventa bello, pittoresco, grandioso. Questi nuovi canoni di bellezza si diffonderanno e, progressivamente, convertiranno la stessa sensibilit\u00e0 dei montanari. E non era molto tempo fa\u2026<\/p>\n

Il lavoro di ricerca in quota, da faticoso e pericoloso, diventa piacevole ed arricchente. Nuovi adepti, sempre pi\u00f9 interessati all’estetica piuttosto che alla scienza, rendono popolari le escursioni nelle Alpi. Pittori ed incisori si alternano agli esperti scientifici e danno il via alla banalizzazione della montagna. Gli Inglesi, nobili e abbienti borghesi, diventano i maggiori frequentatori della montagna: uomini di scienza, artisti e, cosa assolutamente nuova, sportivi. E spesso le tre cose insieme!<\/p>\n

I conquistatori dell’inutile <\/strong><\/p>\n

L\u2019abb\u00e9 Gorret incontra molto giovane i primi Inglesi. Con l’humour<\/em> che lo ha sempre caratterizzato, racconter\u00e0 pi\u00f9 tardi di avere conosciuto molti Inglesi senza qualificativi, ma anche Inglesi tedeschi, Inglesi svizzeri, Inglesi francesi ed anche Inglesi italiani: veri sportivi.<\/p>\n

Gli sportivi, i conquistatori dell’inutile, danno il via alla corsa sfrenata verso le cime inviolate. Nella maggior parte dei casi, a guidare questi alpinisti \u00e8 il gusto dell’avventura, la competizione con l’altro, l’affermazione della personalit\u00e0. Ad accomunarli, non sono pi\u00f9 le accademie delle scienze; ormai si organizzano e si riuniscono nei club: il primo \u00e8 l‘Alpine Club<\/em> inglese (1857), seguito dall\u2019Osterreichischer Alpenverrein<\/em> (1862), dal Club Alpino Italiano<\/em> (1863), dal Deutscher Alpenverrein<\/em> (1869) e dal Club Alpin Fran\u00e7ais<\/em> (1874). I montanari capiscono con difficolt\u00e0 questo nuovo modus vivendi<\/em>, talmente \u00e8 estraneo alla loro mentalit\u00e0. Vi si adattano lentamente e cercano di trarne il maggior numero di vantaggi. Tuttavia, con l\u2019andar del tempo, ne sono irritati, feriti fino all’umiliazione dal trionfalismo degli stranieri, dalla loro arroganza, dalle loro arie di conquista. Le iperbole, i racconti ispirati, le visioni romantiche della natura, i buoni sentimenti da quattro soldi impregnano i testi dei letterati che cantano questa nuova visione della montagna. Si direbbe che si sia perduto il significato dei limiti .<\/p>\n

Jean Vernet, scrittore di montagna, lapidario, dichiara: ” L\u2019alpinisme n\u2019est pas un sport. C\u2019est une religion…” e sar\u00e0 solo uno dei primi ad affermare una tale eresia. Questa enfasi sorprende e non \u00e8 capita dalla mentalit\u00e0 contadina, poco incline all’esagerazione.<\/p>\n

Il nazionalismo nelle Alpi <\/strong><\/p>\n

Il terreno \u00e8 ormai pronto ad accogliere una nuova visione della montagna che aprir\u00e0 la strada, in modo pi\u00f9 o meno consapevole, ai nazionalismi dominanti fino alla met\u00e0 del XX secolo.<\/p>\n

Gi\u00e0 oggetto di ricerca scientifica, poi di piacere estetico, area sportiva, occasione per mettere alla prova le qualit\u00e0 individuali, la montagna diventa terreno di confronto delle rivendicazioni identitarie: il 1848 infiamma l’Europa ridisegnando i confini e il 1861 vede finalmente l’Italia indipendente. In questo mutato contesto, le Alpi assumono una nuova importanza e la teoria predominante dei confini naturali certamente attribuisce loro un ruolo non solo strategico, ma anche simbolico. In una sorta di attualizzazione del mito del popolo eletto, l’arco alpino \u00e8 presentato come uno scudo di protezione che il Buon Dio ha voluto donare al Paese a lui tanto caro: l’Italia. Le Alpi acquisiscono, cos\u00ec, sacralit\u00e0, baluardo naturale<\/em> contro i nemici reali o fittizi. La loro carica simbolica cresce fino a diventare, nel caso dei territori cosiddetti irredenti, una rivendicazione di propriet\u00e0. In poche parole, per la stupidit\u00e0 degli uomini, le montagne, in passato cerniera tra i popoli, diventano una barriera di ferro spinato.<\/p>\n

Essere il primo a scalare una cima non \u00e8 pi\u00f9 ritenuto un successo personale o di un gruppo ristretto, ma la vittoria di una nazione, l’affermazione della genialit\u00e0 di un popolo, un segno del Signore.<\/p>\n

In vent’anni, gli Inglesi possono vantare un record di successi impressionanti. La quantit\u00e0 di punte e massicci violati tra il 1840 ed il 1860 \u00e8 enorme. E non si arresta \u2026<\/p>\n

Nel 1861, l’inglese Mathews, accompagnato dalla guida Croz di Chamonix, scala per primo il Monviso, la montagna dei Piemontesi, che con il bel tempo, si pu\u00f2 ammirare da Torino. Nel 1863, Whymper, sempre con Croz, raggiunge la Barre des \u00c9crins, nel Delfinato. Nel mese di giugno del 1865, ancora Whymper, con le guide di Chamonix e Zermatt, apre la via delle Grandes-Jorasses partendo da Courmayeur. E\u2019 un duro colpo da incassare per il nazionalismo italiano, poich\u00e9 si tratta di montagne di confine, e in quest’ultimo caso, di un confine recente. L’impresa \u00e8 percepita come un ennesimo affronto all’Italia.<\/p>\n

La nascita del CAI, il Club Alpino Italiano<\/strong><\/p>\n

Il Club Alpino Italiano viene istituito dopo la prima italiana al Monviso, nel 1863, due anni dopo la vittoria inglese. Ne sono promotori, alcuni brillanti giovani dell’aristocrazia e soprattutto della borghesia piemontese. Quelli che avevano fatto l’Italia”, si era soliti dire \u2026 Citiamo Quintino Sella, di una famiglia di banchieri ed industriali di Biella, uomo di scienza, ingegnere idraulico, Ministro delle finanze del Regno d’Italia; Felice Giordano, geologo e anche lui ingegnere; Bartolomeo Gastaldi, pioniere della glaciologia e secondo presidente del CAI; Ferdinando Perrone di San Martino, barone, primo presidente del CAI; Giovan Battista Rimini, segretario del CAI.<\/p>\n

Dunque, un gruppo di giovani entusiasti, istruiti, appassionati di montagna e patrioti. Guido Rey definisce con precisione la loro missione \u201cGli \u00e8 che a quel tempo gli Italiani avevano ben altro da pensare e da fare: fare l\u2018Italia e le azioni erano dirette a quello scopo, i pensieri tutti assorti in quell\u2019ideale<\/em>\u201d. Concepivano l’alpinismo come un momento di formazione morale e patriottica e vedevano nelle montagne, non solo ci\u00f2 che delimitava il confine, m anche un mezzo per valorizzare i risultati ed i protagonisti del giovane Regno d’Italia.<\/p>\n

Si tratta di una visione assolutamente nuova della montagna: la gloria dell’individuo che conquista una cima coinvolge tutta la nazione di sua appartenenza. \u00c8 una concezione che porter\u00e0 lontano, molto lontano, troppo lontano. Esaltando il nazionalismo, nel XX secolo, l’alpinismo organizzato si scoster\u00e0 dall’intento iniziale ed i Club Alpini, nel mondo germanico ed in Italia soprattutto, si piegheranno docilmente ai progetti dei regimi totalitari e razzisti. Il che non significa tuttavia che tutti i membri di questi Club fossero nazisti o fascisti. E soprattutto non nel periodo che ci interessa in questa sede! Ben inteso, le montagne non avevano nulla a che vedere con queste ideologie e i montanari ancora meno.<\/p>\n

All\u2019assalto della Gran Becca<\/em><\/strong><\/p>\n

Dopo 20 anni d’alpinismo sportivo, le cime da violare non erano pi\u00f9 molto numerose e una dopo l’altra sembravano arrendersi agli Inglesi. Nel 1865, nelle Alpi, la sola vetta importante ancora da conquistare era il Cervino. Non bisognava lasciarsela sfuggire. Gi\u00e0 da qualche anno, uno dei maggiori alpinisti della sua generazione, l’inglese Edward Whymper, si aggira intorno a questa montagna maestosa e simbolica. La conquista del Cervino diventa allora una priorit\u00e0 urgente del CAI, la nuova associazione italiana ed i suoi membri si organizzano per questo. I giovani alpinisti piemontesi, nuovi carbonari, con alla testa Quintino Sella, ordiranno, come la definir\u00e0 Guido Rey nel suo stile patriottico e ampolloso, una congiura<\/em> per conquistare il Cervino.<\/p>\n

Contattato nel 1863 dal politico e scrittore di successo Giuseppe Torelli, Jean-Antoine Carrel si reca a Biella per incontrare Sella che intende conoscerlo. L’anno successivo, il futuro ministro incarica l’amico Felice Giordano, valente geologo e buon alpinista, dell’organizzazione della spedizione. Da quel momento in poi, quest’ultimo trascorre il suo tempo tra Zermatt, Il Breuil e P\u00e2quier, per fare una ricognizione dei siti, conoscere le persone e informarsi su tutto ci\u00f2 che potr\u00e0 essere utile all’impresa. L’assalto alla Gran Becca \u00e8 previsto per il 1865.<\/p>\n

Quell’estate, tuttavia, Giordano non \u00e8 il solo a nutrire progetti del genere. Dall’inizio dell’estate del 1965, Whymper si trasferisce a Valtournenche e prepara il suo piano d’attacco al Cervino. Contatta Carrel per un tentativo dal lato svizzero. Carrel, uomo di parola, che si era gi\u00e0 impegnato con Giordano dall’11 luglio, accetta, ma solo fino a quella data, non oltre l’11 luglio! “Per fortuna il tempo divenne cattivo, Whymper non pot\u00e9 fare il suo nuovo tentativo e Carrel si disimpegn\u00f2 venendo con me… <\/em>” scriver\u00e0 Giordano. Se avesse fatto bello, Whymper e Carrel avrebbero potuto vincere insieme il Cervino? In questo caso, la storia sarebbe stata diversa \u2026 Ma non lo sapremo mai.<\/p>\n

Per questa impresa, Giordano aveva ingaggiato le migliori guide di Valtournenche, che avrebbero preparato la strada a Quintino Sella ed a lui stesso. Non aveva badato a spese.<\/p>\n

 La conquista del Cervino <\/strong><\/p>\n

Privo di qualunque supporto umano sul versante di Valtournenche, Whymper parte per Zermatt attraverso il Colle del Teodulo per realizzare a tutti i costi il suo progetto. Carrel, convinto che l’ascensione dalla parete del Vallese sia impossibile, si appresta, in tutta tranquillit\u00e0, a “sferrare” l’attacco dal versante del Breuil. Con una cordata improvvisata, inopinatamente, Whymper raggiunge la vetta e Carrel, che aveva intrapreso la scalata con molta pi\u00f9 calma, a qualche passo dalla fine, ha la sorpresa di vedersi precedere dalla squadra, ancora gioiosa di Whymper. Al Breuil, l’abb\u00e9 Gorret e Giordano, che controllavano la vetta con il cannocchiale, intravedono persone sulla cima. Credendo che fosse Carrel, Giordano invia un telegramma entusiasta a Quintino Sella. Al suo ritorno, quando Carrel incontra Giordano, quest’ultimo, nonostante la delusione, lo incoraggia comunque e non desistere e a risolvere la questione del Cervino, una volta per tutte. Sarebbe stata, malgrado tutto, la prima ascensione dal versante valdostano, e poi, sulla vetta, occorre piantare la bandiera italiana!<\/p>\n

Carrel non riesce pi\u00f9 a convincere la squadra che l’aveva accompagnato. Per varie ragioni, tutti rinunciano. Giordano si propone e propone anche il suo amico Quintino Sella, ma Carrel \u00e8 formale: “Pas de touristes !<\/em>” mettendolo addirittura per iscritto, un dettaglio che deve avere profondamente ferito un uomo dalle qualit\u00e0 di Giordano.<\/p>\n

La nuova cordata \u00e8 quindi composta dall’abb\u00e9 Gorret e da due giovani Valtornein<\/em>, domestici dell’H\u00f4tel Giomein: Jean-Augustin Meynet e Jean-Baptiste Bich. La cima sar\u00e0 conquistata senza troppi problemi. Da sotto, con rammarico e po’ di amarezza, Giordano li segue con il cannocchiale, ma non avr\u00e0 l’animo di festeggiare il loro ritorno vittorioso. Raggiunge Torino, dove scrive a Quintino Sella: “Volevo dirti che, se il vuoi, puoi ancora ascendere il Cervino con bastante onore, essendo il primo <\/em>Monsieur che lo salirebbe dal lato d\u2019Italia<\/em>“. Il cuore dei congiurati \u00e8 pieno d’amarezza ma, malgrado tutto, la bandiera italiana sventola comunque sulla cima della Gran Becca<\/em>. Tutto il resto sono solo dettagli\u2026<\/p>\n

A questo punto, \u00e8 interessante vedere un po’ pi\u00f9 da vicino il comportamento dei protagonisti valdostani e, in modo particolare, quello di Georges Carrel (1800-1870), Jean-Antoine Carrel (1829-1890) e Am\u00e9 Gorret (1836-1907), tre Valtornein<\/em>, parenti, e tutti e tre molto particolari: un erudito, un cacciatore e un sacerdote: la mente, il braccio e la penna. \u00c8 evidente che Georges Carrel non fosse solo un erudito: era anche sacerdote, o meglio canonico e scrittore. Jean-Antoine Carrel, come tutti i Valdostani dell\u2019epoca era anche contadino e Am\u00e9 Gorret oltre che prete era anche un ottimo cacciatore. In pi\u00f9, tutti e tre avevano an bouna tsamba<\/em>, un passo eccellente per la montagna, erano quindi ottimi camminatori e scalatori.<\/p>\n

 <\/p>\n

Georges Carrel : l’erudito <\/strong><\/p>\n

Canonico influente, insegnante, illustre uomo di scienza, fondatore della Soci\u00e9t\u00e9 de la Flore (1858) e del Club Alpin Vald\u00f4tain (1868), vero riferimento per qualunque viaggiatore famoso che volesse attraversare la Valle, soprannominato l\u2019ami des Anglais<\/em>, profeta della conquista del Cervino, Georges Carrel \u00e8 colui che elabora la strategia per fare conoscere ed apprezzare la Valle d’Aosta e, soprattutto, affinch\u00e9 la conquista del Cervino sia opera dei Valdostani. Guido Rey gli riconosce questo ruolo senza esitazione: “Egli fu la scintilla che desta grande incendio; fu l\u2019autore dell\u2019idea, altri ne furono attori<\/em>“. E aggiunge: “Amava ardentemente il suo campanile e quell\u2019altro campanile altissimo di roccia che sovrasta tutta la valle. Figlio di antiche generazioni vissute a pi\u00e8 del monte, sentiva l\u2019orgoglio della sua razza e ne conosceva tutta la forza e gli ardimenti<\/em>“. Ormai troppo anziano per intervenire sul campo, si tiene al corrente di tutto ci\u00f2 che accade ai piedi della Becca<\/em>. Sa tutto del primo tentativo di Jean-Antoine Carrel e di Am\u00e9 Gorret che definisce, in quell’occasione, deboli e velleitari. \u00c8 al corrente dei progressi delle cordate inglesi che si alternano al Cervino; partecipa alla preparazione delle cordate valdostane.<\/p>\n

Gli dobbiamo la prima relazione sulla scalata, redatta secondo la testimonianza di Carrel, Bich e Meynet. Lo stile \u00e8 sobrio, quasi notarile, ma l’inizio \u00e8 maestoso: “Jean-Antoine Carrel, dit le Bersaglier, guide-chef, Jean-Baptiste Bich, dit Bardolet, Aim\u00e9 Gorret et Jean-Augustin Meynet, tous de Valtournenche, partent du Breuil vers 7 heures du matin le 16 juillet 1865 et se dirigent vers le Mont-Cervin dans l\u2019intention d\u2019en faire l\u2019ascension quand m\u00eame<\/em>“. Vengono presentati i protagonisti e precisati gli obiettivi. Nel testo della relazione, non viene fatta menzione del ruolo del CAI, se non in modo indiretto per via dell’utilizzo di “un c\u00e2ble double, de la longueur de 16 m\u00e8tres, fourni par M. l\u2019ing\u00e9nieur Giordano<\/em>“, della posa della bandiera italiana sulla cima: “Le drapeau \u00e9tait large d\u2019un m\u00e8tre et long de deux m\u00e8tres. Le b\u00e2ton, long de deux m\u00e8tres et demi a \u00e9t\u00e9 fix\u00e9 dans un tas de pierres<\/em>” e di Giordano che accoglie gli alpinisti al ritorno.<\/p>\n

Per una narrazione pi\u00f9 esaustiva, il canonico rinvia all’abb\u00e9 Gorret: “\u2026qui a pris une part si active \u00e0 cette glorieuse ascension, il vous aura dit ou vous dira les autres circonstances que j\u2019ignore<\/em>“.<\/p>\n

Jean-Antoine Carrel, il cacciatore <\/strong><\/p>\n

Contadino, artigiano del legno, cacciatore di camosci, ex combattente, Jean-Antoine Carrel deve mantenere una famiglia numerosa: ben 12 figli! Cos\u00ec il nuovo mestiere che gli si profila all’orizzonte, quello di guida alpina, \u00e8 senz’altro utile per integrare il bilancio famigliare. Inoltre, le grandi escursioni sulle montagne gli rinnovano continuamente, anche se con meno intensit\u00e0, il piacere della caccia in quota, la sua grande passione. Fino alla conquista del Cervino, la caccia occupa ancora uno spazio privilegiato nel suo cuore. Nel 1862, sale con Whymper fino alla Grande-Tour, ma il cattivo tempo li respinge. Il giorno successivo fa bel tempo, Whymper passa a prendere Jean-Antoine per un nuovo tentativo ma quest’ultimo era andato con un amico a caccia di marmotte “\u2026\u00e9tant donn\u00e9 que la journ\u00e9e paraissait favorable\u2026<\/em> “. Il che ci fa intuire quali fossero le priorit\u00e0 di Jean-Antoine Carrel!<\/p>\n

A mano a mano che frequenta il Cervino, Jean-Antoine impara ad amarlo. Whymper l\u2019amava come una bella donna, Carrel come i Valdostani amano lo bien<\/em>, come la terra degli avi, ricca e fertile. \u00c8 cos\u00ec che Carrel ama il Cervino. Guido Rey riporta che Il Cervino \u00e8 diventato per Carrel “\u2026la ragione, lo scopo della sua vita, e voleva scalarlo dal versante della sua valle natia, per l\u2019onore dei Valtornein.<\/em>\u201d Professionale e coscienzioso, per ogni uscita, Carrel si fa pagare poco o tanto e da chiunque: lo si paga per andare a Biella a trovare Quintino Sella, lo si paga per il tentativo sfortunato dell’11 luglio 1865. Ma quando, battuto da Whymper, accetta l’invito di Giordano per un secondo tentativo, quando tutti rinunciano, accetta anche di partire gratuitamente. “Di certo, quella di Carrel non fu una reazione nazionalista, quanto piuttosto un moto d’orgoglio, come ci si doveva attendere da parte di una delle migliori guide dell\u2019epoca\u2026 <\/em>“, scrive Michel Mestre.<\/p>\n

Arrivato in cima al Cervino, pianta la bandiera italiana che gli \u00e8 stata affidata, si ferma giusto il tempo necessario e riscende a festeggiare con i suoi compatrioti i quali, per l’occasione, come si faceva all’epoca nei giorni di festa, accendono fiaccole sui versanti intorno al Breuil. Jean-Antoine far\u00e0 la guida per tutta la vita, salir\u00e0 sulla cima del Cervino pi\u00f9 di 50 volte, con semplici clienti o alpinisti illustri, tra i quali Whymper; far\u00e0 l’ascensione di montagne lontane in altri continenti e morir\u00e0 affaticato al rientro di una difficile ascensione al Cervino, dopo avere messo in sicurezza il suo cliente, il grande musicista torinese, di origine ebraica, Leone Sinigaglia.<\/p>\n

L\u2019abb\u00e9 Am\u00e9 Gorret<\/strong><\/p>\n

L’abb\u00e9 Gorret, nato da una povera famiglia di agricoltori, ha avuto un’infanzia ordinaria, come tutti i figli di contadini del suo tempo: pastore a Cheneil, faceva piccoli lavoretti per aiutare la famiglia, frequentava la scuola per la quale manifesta particolari attitudini, il catechismo, e si misurava nelle corse nelle pietraie con i suoi compagni. Studia ad Aosta, sotto la guida dello zio canonico, Georges Carrel, ma ogni occasione \u00e8 buona per tornare al villaggio natale, ai piedi del Cervino. Alto e grosso, lavoratore instancabile, dai modi un po’ rudi, sar\u00e0 soprannominato, molto pi\u00f9 tardi, l\u2019Ours de la Montagne. <\/em>Spontaneo e sincero nelle reazioni e nella parola, dotato di un forte senso dello humour, con una penna elegante e caustica, ci ha lasciato pagine indimenticabili su numerose escursioni alpine. Giovane e spensierato, \u00e8 protagonista con Jean-Antoine Carrel del primo tentativo d’ascensione del Cervino ad opera di Valtornein nel 1857. Aderisce poi alla spedizione vittoriosa del 1865, quando tutte le guide con una certa esperienza hanno declinato l’invito di Giordano a ritentare la fortuna. A riferircelo \u00e8 lo stesso Ours de la Montagne: “Eh bien ! Vous renoncez au Mont-Cervin, vous ne voulez plus repartir, j\u2019y irai moi, qui veut me suivre?<\/em>” Il Bersaglier<\/em> raccoglie la sfida e, la sera, Jean-Baptiste Bich e Jean-Augustin Meynet completano la cordata. Ad un passo dalla cima, davanti ad un canalone invalicabile, si sacrificher\u00e0 per il successo del progetto. Scriver\u00e0: “Conseil tenu, j\u2019\u00e9tais le plus pesant et le plus fort ; on m\u2019aurait charg\u00e9 d\u2019or, je n\u2019aurais pu me r\u00e9signer ; il s\u2019agissait d\u2019un sacrifice, je le fis. Plantant mes talons sur l\u2019ab\u00eeme, le dos appuy\u00e9 \u00e0 la roche, les bras serr\u00e9s sur la poitrine, je suspends deux de mes compagnons, l\u2019un apr\u00e8s l\u2019autre, le troisi\u00e8me veut rester avec moi. J\u2019\u00e9tais heureux\u2026<\/em>”<\/p>\n

Di ritorno, \u00e8 lui che ricever\u00e0 dalle mani di Giordano la bandiera d’onore: la prender\u00e0 e ceder\u00e0 a Jean-Antoine. Questa volta, il 16 luglio 1865, Am\u00e9 non raggiunge veramente la cima, ma sar\u00e0 come se ci fosse veramente arrivato. I vincitori del Cervino dal versante valdostano per tutti sono quattro, anche se soltanto due hanno veramente messo piede sulla neve della vetta.<\/p>\n

Am\u00e9 Gorret, ancora giovanissimo, sar\u00e0 vice-presidente onorario del CAI, percorrer\u00e0 tutti i sentieri della sua valle, scaler\u00e0 tutte le cime importanti della Valle d’Aosta e non solo. Con i suoi contatti ed i suoi scritti, proseguir\u00e0 l’opera dello zio Georges Carrel per la promozione internazionale del turismo valdostano. Ma, soprattutto, sar\u00e0 l’apostolo, purtroppo poco ascoltato, di un alpinismo alternativo, n\u00e9 d’\u00e9lite, n\u00e9 sportivo, n\u00e9 nazionalista. L\u2019Ours de la Montagne <\/em>ci propone un alpinismo intelligente, culturale, aperto a tutte le categorie sociali, precursore per la sua modernit\u00e0.<\/p>\n

Per l’abb\u00e9 Gorret, un’escursione o una scalata sono un modo per scoprire cose nuove. Il muretto che sostiene il sentiero, il campo di grano appena mietuto, l’uomo che irriga un prato, un ciuffo di fiori rari, una roccia colorata, una baita d’alpeggio in rovina: tutto merita di essere osservato studiato, spiegato. Tutto merita una visita, un po’ di tempo in pi\u00f9, uno sforzo per meglio comprendere. Ci\u00f2 che conta, non \u00e8 l’altezza della montagna scalata, n\u00e9 la sua fama, n\u00e9 il tempo impiegato per conquistarla, n\u00e9 tantomeno il fatto di essere stato il primo a raggiungerla. La montagna, per l’abb\u00e9, \u00e8 prima di tutto un piacere complesso che occorre imparare ad assaporare ed un’occasione di arricchimento morale e culturale. La montagna non \u00e8 un’entit\u00e0 spirituale astratta, buona o cattiva che sia, la montagna non \u00e8 n\u00e9 la morale, n\u00e9 la cultura, ma, affrontata correttamente, aiuta l’individuo a coltivare meglio il suo spirito, a rafforzare la sua morale e a perfezionare la sua cultura.<\/p>\n

Le due cime del Cervino <\/strong><\/p>\n

Le sommet du Mont-Cervin ne pr\u00e9sente aucun plateau, c\u2019est une ar\u00eate de 150 m\u00e8tres environ parall\u00e8le \u00e0 l\u2019\u00e9quateur. Cette ar\u00eate est bien \u00e9troite vers le milieu ; elle s\u2019\u00e9largit vers les deux bouts<\/em>” precisa Georges Carrel.  In cima al Cervino, vi sono dunque due piccole punte collegate da una cresta: una si affaccia verso la Valle d’Aosta, l’altra verso il Vallese.<\/p>\n

Sulla prima, come abbiamo visto, Carrel ha piantato, per conto di Giordano, la bandiera italiana. E sull’altra? Whymper ci racconta: negli ultimi metri, lui e la sua guida di Chamonix si cimentano in una sorta di gara per vedere chi arriva primo alla vetta. La raggiungono insieme. “Qu\u2019allons-nous planter ?<\/em>” chiede allora l’Inglese alla sua guida. Michel Croz, senza dire nulla, pianta il picchetto da tenda che aveva con s\u00e9, si toglie la giacca da Savoiardo, impregnata di sudore a causa dello sforzo, e la appende al picchetto. Ecco la bandiera dei primi conquistatori del Cervino. Il gesto di Croz \u00e8 stato certamente spontaneo, senza pretese ideologiche. E non spetta a noi attribuirgliene ora.<\/p>\n

\u00c8 corretto solo constatare che ci troviamo di fronte a due approcci ben diversi nei confronti della montagna: la bandiera e la giacca!<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Alexis B\u00e9temps Le Mont-Cervin, cette montagne si fi\u00e8re et si belle que nous pouvions voir tous les jours, le Mont-Cervin, devant lequel les \u00e9trangers s\u2019arr\u00eatent frapp\u00e9s d\u2019admiration, le Mont-Cervin ne nous frappait pas. Am\u00e9 Gorret La percezione della montagna Rude e inospitale, l’alta montagna non ha mai interessato veramente i montanari: contadini e allevatori si […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":0,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"_et_pb_use_builder":"","_et_pb_old_content":"","_et_gb_content_width":""},"categories":[4],"tags":[],"yoast_head":"\nIl nazionalismo italiano e l'invenzione del Cervino<\/title>\n<meta name=\"description\" content=\"Rude e inospitale, l'alta montagna non ha mai interessato veramente i montanari: ma come vedevano i Cervino i protagonisti delle prime ascensioni del 1865?\" \/>\n<meta name=\"robots\" content=\"index, follow, max-snippet:-1, max-image-preview:large, max-video-preview:-1\" \/>\n<link rel=\"canonical\" href=\"https:\/\/betemps.eu\/it\/il-nazionalismo-italiano-e-linvenzione-del-cervino\/\" \/>\n<meta property=\"og:locale\" content=\"it_IT\" \/>\n<meta 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